(400 parole)
Quello di cui parliamo oggi è un vino con cui ho amoreggiato tempo fa sperando in nuovi abboccamenti. Il vitigno è il Carignano, con un 15% di taglio bordolese a sostegno. Il vino si chiama, come la tenuta da cui proviene, Barrua ed è prodotto in Sardegna (Basso Sulcis) da Agricola punica che il sito descrive come «una joint-venture tra il Gruppo Tenuta San Guido Sassicaia, la Cantina di Santadi, Antonello Pilloni presidente della Cantina ed il leggendario enologo toscano Giacomo Tachis». La filosofia per tutti e tre i vini prodotti è quella di associare uve autoctone a una piccola percentuale di vitigni francesi. Ora, non so voi, ma io, quando vedo cast stellari come quelli che raccoglieva un fu-regista nato a Kansas City, un po’ il sospetto del flop cinematografico ad altissimo budget ce l’ho. Ma per fortuna ho conosciuto prima il vino e poi i suoi interpreti. E me ne sono innamorato.
La vendemmia per questa bottiglia è il 2012. 5-6 anni per un vino rosso ambizioso sono un tempo giusto per parlarne senza lamentare particolari durezze. Eppure, il futuro è ancora foriero di grande sviluppo. Rosso rubino maturo, impenetrabile e consistente, al naso si apre sempre più nel calice. Se il primo impatto è di terziari (tabacco e spezie dolci e scure) e fruttato maturo, le bacche rosse più croccanti si aggiungono presto al bouquet insieme a una nota balsamica più fresca e ondosa, ma non prorompente o audace. A un certo punto, si fa strada il vegetale: è incredibile come il famoso “peperone verde” del Cabernet Sauvignon sia percepibile anche con una percentuale così ridotta (10%); il Merlot, dal canto suo, contribuisce con il suo 5% a conferire un pizzico di morbidezza all’insieme.
In bocca, la freschezza supera la sapidità ed è accompagnata da tannini ancora energici, ma già integrati (e, del resto, dopo 18 mesi in barrique e affinamento di almeno 12 in vetro, vorrei ben vedere!). Il tocco balsamico si fa a questo punto decisivo nel veicolare il frutto che esplode in bocca, pur senza persistere troppo a lungo, per lasciar posto a una meravigliosa minima ruvidezza cinerina forse legata al tabacco che avevamo già notato all’olfattiva. Chiaramente, parliamo di un vino che difficilmente potrebbe stare sulla tavola di un vegetariano: l’abbinamento istintivo è con una carne dal sapore piuttosto elementare, magari stracotta (con le patate al più), o con una bolognese bianca a prevalenza di macinato bovino o di cacciagione.